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29 Giu

 

Gentile Antonella Crippa, aderisco alla tua segnalazione con alcune brevi chiose sul testo segnalatomi.

 

Ho visto tutta la Lettera a Papa Francesco e debbo chiarire meglio l’impressione  che ti ho comunicato dopo una scorsa troppo rapida, che si era limitata agli iniziali aspetti riguardanti le variazioni climatiche e le connesse ere glaciali. 

Le considerazioni qui svolte in argomento, non mi sono nuove, come non sarebbero nuove altre ben più numerose e di senso opposto, ben note in ambiti rigorosamente scientifici e anche da me sentite in diversi convegni in Italia e all’estero, pur non essendo nella mia competenza. Comunque è in corso un dibattito da lunghissimo tempo che ritengo interessante.

Diverso ii discorso sulle considerazioni di argomento economico, che ho successivamente letto. A partire dalla generica spiegazione del perché ci sono i poveri, col paradigma richiamante la sola disponibilità di energia, che ignora principi di plusvalore, soprattutto immateriale, e quanto altro attiene a processi/prodotto e mercato.

E se la disponibilità di energia è così importante, non mi è chiaro perché nel provvedervi a vantaggio dei paesi poveri non sia opportuno ricorrere alle fonti meno inquinanti o rinnovabili, come qui si auspica. 

Se così non fosse, l’inquinamento raggiungerebbe livelli globalmente insostenibili, come dimostrano Cina e India, cui si aggiungerebbero ampie aree dell’Africa e dell’America Latina, ove ne venisse giustamente incentivato lo sviluppo economico.

Confesso di non capire quanto affermato riguardo alla sostituzione delle fonti di energia con altre meno inquinanti o rinnovabili, che provocherebbe  l’arresto degli apparecchi elettrici! L’energia elettricità è sempre tale, indipendentemente dalla fonte che la produce! Peraltro, il processo di sostituzione è necessariamente 

graduale perché trova limitazioni e vincoli tecnici e finanziari , oltre che culturali nelle zone meno sviluppate.

Nell’Enciclica di Papa Francesco non vedo negazioni della scienza e della tecncica, ma l’indicazione del rischio che vengano sviluppate soltanto in funzione di un’economia intesa a massimizzare i profitti, trascurando  le altre istanze riguardanti l’umanità e il suo ambiente.

Infine, del tutto incomprensibile mi appare l’ultimo punto per il quale probabilmente occorre una più puntuale e diffusa esposizione. Esso riguarda l’onere da sostenere in favore dei Paesi poveri , che danneggerebbe quelli ricchi, “a vantaggio di quella ristretta minoranza che, unica si avvantaggerebbe dal “miserabile” affare”. 

Qui, a parte l’incomprensibilità, noto uno scadimento  di contenuto e forma, che non mi è possibile considerare.

 

 

 

  

27 Giu

Ho risposto ad una domanda sulla "distruzione creatitrice" del post precedente sulla “globalizzazione”, nei termini che seguono:
Hai ragione, gentile Crippa Antonella: “distruzione” e “creatrice” sono antitetici. Ma questo concetto rimanda al suo formulatore, l’economista Joseph Schumpeter, profeta dell’innovazione, che già nei primi decenni dello scorso secolo lo enunciò per indicare che il progresso tecnologico portava a migliorare processi e prodotti, con conseguente eliminazione di quelli meno efficienti, che lasciava vantaggio e spazio ad altri attori e ad altri prodotti. Prefigurava quella fluidità dei sistemi economici, oggi particolarmente avvertita ed in ulteriore accelerazione nella sua dinamica, a seguito della moderna globalizzazione (per distinguerla dall’internazionalizzazione di un tempo), sospinta dalla tecnologia informatica (dalla quale deriveranno imprevedibili modifiche negli utilizzi e nei comportamenti), dall’allentamento culturale e dall’affievolirsi dell’attenzione alle istanze etiche, morali e sociali talvolta localmente caratterizzate, che esaltavano l’appartenenza ai luoghi e, soprattutto in prospettiva, dai biblici flussi migratori, alimentati pure dai 60 milioni di rifugiati sparsi nel mondo dalle più varie guerre locali. Ciò accelererà la “distruzione creatrice” nell’economia e, nel tempo anche non lontano, pure nell’ambito politico, a causa di oggettiva difficoltà economica, di soggettiva impreparazione delle popolazioni e, soprattutto, del venir meno di una mediazione culturale, in grado di interpretare e orientare i processi dianzi indicati. A meno di applicare la recente Enciclica di Papa Francesco: essa però indica un “voler essere”, come è giusto faccia il Santo Padre, al quale si sovrapporrà un più limitato “poter essere”, dettato dai nostri riconosciuti, ma difficilmente superabili limiti individuali e collettivi.

27 Giu

Ho completato la definizione di “globalizzazione”, che ho formulato nell’anno 2000, nell’occasione di eventi alla Città del Vaticano, a La Habana, a Mosca/San Pietroburgo, a Milano e a Francoforte, aggiungendovi un richiamo all’attualità del cambiamento cui sono votate le istituzioni pubbliche, le imprese e tutti gli insiemi dell’economia e della società per non soccombere all’accentuarsi della “distruzione creatrice”, di Schumpeteriana memoria, nei termini che seguono:

 

"La globalizzazione, anche per effetto della dominante tecnologia informatica, può definirsi come uno straordinario sviluppo delle possibili relazioni, non soltanto economico-finanziarie, tra le diverse aree del globo, con modalità e tempi tali da far sì che ciò che avviene in un'area si ripercuota anche in tempo reale sulle altre aree, pure le più lontane, con esiti che i tradizionali modelli interpretativi dell'economia e della società non sono in grado di valutare correntemente, anche per la simultaneità tra l'azione ed il cambiamento che essa produce, in un’esaltazione della dinamica degli "insiemi" dell’economia, sempre più sollecitati al cambiamento dalla distruzione creatrice"