ISTITUTO DELL'ENCICLOPEDIA ITALIANA TRECCANI
Enciclopedia Biografica Universale, Roma, Edizione, 2007, Volume XIV, pag. 617
GIANCARLO PALLAVICINI
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Personaggio Pubblico - Accademico delle Scienze della Federazione Russa e Faculty Member. Vedi biografia Enciclopedia Treccani
GIANCARLO PALLAVICINI
Public figure
Giancarlo Pallavicini is an economist, academic, manager, Italian writer and journalist, former adviser to the Soviet Government at the time of Gorbachev's Perestroika and member of the Academy of Sciences of the Russian Federation. He was administrator of "Norfinance Italia", Milan, since 1994; Secretary general of ...
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Treccani.it
L'aggiornamento al 2013 dell'Enciclopedia Biografica Universale, Edizione 2007, Vol. XIV, pag. 617
Notizie Esteri
La partecipazione al Club degli stranieri dell'Accademia delle Scienze della Russia
Perestroika Academia edu
La consulenza per la "perestrojka" nell' economia di Mikhail Gorbacev
Storia dell'economia
L' Economia di relazione con le altre discipline riguardanti l'uomo e il suo ambiente culturale e naturale
Principi e contenuti del Marketing
L'anticipazione dei primi concetti del "Marketing"
CODICE DI CAMALDOLI: Celebrazione 70 anni e sua attualità
Le Celebrazioni per i 70 anni e In difesa dell'Europa decadente
Globalizzazione
I rapporti con l'informatica e l'obsolescenza dei modelli di valutazione
Grande Distribuzione Organizzata - GDO
Le definizioni delle strutture integrate nel sistema distributivo italiano
Myr Cultura in Russia
L' Associazione Internazionale degli Intellettuali e Creativi con Dmitrij Lichacev, Raissa Gorbaceva, Nikolaj Samvelian, Serghej Averinzev,Fazil Iskander, Andrej Bitov, Igor Solotusskij, Alfred Snidtke
Myr Cultura in Italia
La fondazione a Mosca con Giancarlo Pallavicini, Alberto Moravia e Mario Rigoni Stern e l'attività svolta in Italia
Solidarietà: Moyi mwa Ntongo
La realizzazione del Centro Medico Oftalmologico e per la maternità e l'infanzia a Kinshasa, nel Congo
Pubblicazioni
Le opere, i contributi a riviste scientifiche e tecniche e l'attività giornalistica
cyclopaedia.net - Motore di ricerca in ambito scientifico
http://it.cyclopaedia.net/wiki/Giancarlo_Pallavicini_(economista)
Giancarlo Pallavicini (economista)
Giancarlo Pallavicini
Immagini su Giancarlo Pallavicini (economista)
Giancarlo Pallavicini nell'ambito della Scienza (economista)
Punti in cui si parla di Giancarlo Pallavicini (economista) su Internet
LA CIVILTA’ DEL PANE
Università Cattolica del Sacro Cuore - Brescia, 1-6 Dicembre 2014
Expo Parlamento Europeo, Auditorium, 9 Maggio 2015
PANE: CIBO ELETTO E SIMBOLO DI CIVILTA’
GIANCARLO PALLAVICINI
Accademia delle Scienze della Federazione Russa, Mosca
Premessa
Per come sono collocate queste mie riflessioni, al termine delle diffuse ed
approfondite analisi sulla “Civiltà del Pane”, darei per scontato che il pane sia cibo
eletto e simbolo di civiltà e mi limiterei ad esporre soltanto alcuni dei motivi che ne
reggono l’assunto, per privilegiare talune chiose sul pane e sul cibo in generale,
di cui esso è simbolo, nelle loro implicazioni sullo sviluppo delle società e dell’
economia, sulla qualità della vita, sulla tutela ambientale, sulle sperequazioni nei
processi di produzione e distribuzione del cibo e sulla conseguente fame nel mondo.
In ciò sollecitato anche dal successivo intervento del Direttore Generale della FAO,
Graziano da Silva a conclusione di questo evento, dovuto all’illuminato e fattivo
impegno del professor Gabriele Archetti. Inoltre, essendo la mia una relazione
d’assieme sugli aspetti riguardanti il pane, nei termini evidenziati dal titolo, mi
sembra opportuno allargarne la trattazione ad alcune delle emergenze dianzi
accennate, che caratterizzano valori propri della civiltà del pane.
Il Pane all’origine
Partendo da quel pane che, con la scoperta del fuoco che ne permise la cottura,
contribuì a distinguere gli umani dagli animali, superando anche l’abituale ingestione
di alcaloidi nocivi, propria di taluni fondamentali consumi di derrate crude. Esso
scandisce il passaggio dai prodotti della natura al prodotto dell’uomo.
Infatti, il pane si realizza col lavoro, con l’azione del lievito i cui enzimi operano per
evitarne la decomposizione, col fuoco che lo cuoce. Fu l’inizio della civiltà, resa
possibile al termine della glaciazione, con le coltivazioni agricole e la stazionarietà
degli insediamenti.
Dapprima composto con castagne, ghiande, radici, erbe, poca farina e terra o
sabbia, soprattutto nei periodi di carestia, andò via via assumendo forme e contenuti
sempre più raffinati, anche a seguito della casuale scoperta della lievitazione delle
farine sulle rive del fiume sacro, all’epoca della 18.a dinastia egizia. Sino a
caratterizzare, con varie forme e composizioni, le diverse aree geografiche, le
culture locali e le tradizionali solennità. Ciò fece dire ad Agostino che il pane
racconta la nostra terra e anche la nostra storia (1).
Ma già prima di lui le antiche cronache ricordano che i Sumeri erano considerati civili
perché si nutrivano di pane di frumento, a differenza dei barbari. Nell’Urbe romana i
nobili, i liberi e i religiosi utilizzavano anche loro pane per lo più di frumento, del
quale era vietata la vendita ai contadini, mentre la plebe si nutriva di polenta di farro.
Il Pane “status symbol”
La tipologia del pane prodotto e consumato mantenne a lungo la caratteristica di
“status symbol”. Ancora nel primo novecento le famiglie contadine si nutrivano di
pane prodotto in casa e composto con i cereali di propria produzione, in prevalenza
granoturco e segale. Soltanto gli abitanti delle città e chi lavorava nelle fabbriche
erano in grado di nutrirsi del pane del fornaio, che si differenziava sempre più
secondo le colture prevalenti nell’area e le diversità ambientali e culturali, con le
richiamate tipizzazioni nell’occasione di particolari ricorrenze o festività.
(1) Agostino d’Ippona, più noto come Sant’Agostino o “Doctor Gratiae”, filosofo,
vescovo e telogo (Tagaste nell’attuale Algeria, 354 d.c./ Ippona, 430 d.c.).
Con il pane, si è soliti consumare altre derrate alimentari, chiamate “companatico”,
a conferma della preminenza del pane. La cui rilevanza trova pure conferma nel
significato religioso di strumento di comunione tra il creatore e l’uomo.
Anche Papa Bergoglio ha recentemente ricordato che “Il pane partecipa in qualche
modo della sacralità della vita umana e perciò non può essere trattato soltanto come
una merce”. Nella sua recente visita alla FAO, ha riconosciuto il valore del pane,
quale cibo eletto e indice di civiltà, che può contribuire ad una risposta all’appello di
chi ha fame ed è denutrito, attraverso un miglior utilizzo delle risorse alimentari che
non sia influenzato soltanto dalla “priorità del mercato” e dalla “preminenza del
guadagno”, da cui conseguono gravi sperequazioni nella distribuzione del cibo (2).
Viene qui in questione lo schema di consumo generale degli alimenti ed il ruolo del
pane, che è stato definito di mediazione per l’economia del naturale e la tutela
ambientale.
Le lenticchie di Esau
Da giovane mi chiedevo perché Esau non si fosse accontentato del pane o, quanto
meno, della metà delle lenticchie di Giacobbe per salvare, almeno in parte, i diritti
della primogenitura (3). Cosa centra Esau con noi? Centra molto perché da adulto
constato che noi, come Esau, paghiamo un caro prezzo nel puntare spesso e
comunque troppo sulle lenticchie, mettendo a repentaglio aspetti fondamentali
come la salute, l’equilibrio sociale, l’ambiente naturale. Soprattutto, rinunciamo all’
equilibrio rappresentato dall’uso corretto del pane e del companatico, in assenza
del quale tutto si scompone, peraltro senza ottenere con questo benefici durevoli.
Facciamo come il gambero? Dopo l’”homo sapiens”, poi “agricola”, poi “faber”,
arriviamo all’”homo ludens”, che cammina a ritroso, almeno in alcune aree
economicamente sviluppate? E’ quello che succede, stando ad evidenze statistiche,
dalle quali risulta che il consumo di pane tradizionale rimane particolarmente elevato
laddove i consumi nel loro assieme appaiono più virtuosi, mentre decresce
sensibilmente nelle aree economicamente più favorite. Qui si consuma meno pane,
che talvolta viene troppo sofisticato e privato di alcune qualità importanti (4).
Il gambero dei consumi
Va rilevato che in ogni area geografica il pane è da sempre conosciuto come
alimento primario pressoché unico. Tuttavia, a mano a mano che lo sviluppo
economico rende disponibili maggiori capacità di spesa, il prezzo del pane aumenta
di molto, anche per la diversa cura e presentazione che ne viene fatta. Il che
comporta maggiori costi, come è più che logico, ma il consumatore riduce il ricorso
al pane per la sua alimentazione.
(2) FAO, “II Conferenza sulla nutrizione”, Roma, 20 novembre 2014.
(3) Giacobbe, nel libro della Genesi, ci viene mostrato tanto furbo da far odorare le
sue vesti di animali bruciati per sostituirsi a Esau, che era sempre con gli animali, e
confondere il padre cieco per ottenerne la benedizione come primogenito.
(4) Raramente è presente quel profumo che consegue alla farina macinata a pietra
e alla lievitazione con pasta madre, che rimanda all’occasionale scoperta del
lievito madre. Difficilmente ormai ci si imbatte nelle gallette del marinaio,
soppiantate dalle confezioni luminescenti dei supermercati.
Nell’assenza di un’adeguata informazione, o meglio, di un “marketing” specifico
come per gli altri prodotti, si continua a consumarlo, ma quasi più per riflesso del
costume acquisito in giovane eta, quando si consumava più pane, e per istintivo
assecondamento della tradizione. Di questo passo, però, si rischia di ridurre
ulteriormente il suo consumo.
Si impone, pertanto, una maggior attenzione alla comunicazione, che ne mantenga
viva l’importante essenzialità, che contrasti le poco credibili diete senza pane, che
ne ponga in risalto i valori nutritivi e salutistici, ma anche culturali, avendo presente
che tutti gli altri prodotti in vendita vengono ammantati di valori, del tipo: “la tua auto”,
“l’auto che ti ama” e quant’altro.Sono eccessi, ma ricordiamo che il pane, più di ogni
altro prodotto, offre richiami culturali e persino affettivi ben più reali, che vanno
ricordati e fatti valere.
Progresso e decadenza
Ma se il pane è cibo eletto e simbolo di civiltà, viene spontaneo chiedersi se stiamo
assistendo ad uno scadimento più generale e diffuso di importanti valori, laddove
si hanno redditi tanto elevati da promuovere atteggianti marcatamente consumistici.
E ciò porta a riflettere sul rapporto tra sviluppo economico e civiltà, intesa come
riconoscimento e rispetto di comuni valori; sul rapporto tra progresso e decadenza.
Sembra di essere davanti ad un metaforico palazzo luminoso ed imponente,
affacciato ad una grande piazza, ma svoltato l’angolo vediamo l’apertura delle
grandi finestre come orbite vuote, sprangate da assi di legno.
La neuroeconomia
Viene qui in questione la neuroeconomia, cioè quel ramo dell’economia che va
delineandosi con contorni sempre più precisi, la quale pone in relazione l’uomo e
la gratificazione dei suoi comportamenti nell’utilizzo dei beni di cui dispone nella
cosiddetta “società fluida” dai mille paradossi. Ne risultano constatazioni come
quella della ricchezza senza felicità, per la quale, oltre ad un certo livello, la maggior
disponibilità di beni non accresce la gratificazione. A quel punto ci troveremmo come
su di un “tapi rulant”: si può accelerare finché si vuole il ritmo, ma restiamo sempre
fermi (5).
Infatti, da studi del concetto di felicità e delle sue relazioni con lo sviluppo
economico risulterebbe che il livello medio della felicità non è strettamente
rapportabile a quello del reddito medio pro-capite, salvo laddove vi sia difficoltà nel
soddisfacimento dei bisogni primari. Stante questa incongruenza è il caso di porre
in discussione anche le valutazioni del benessere di un Paese, attraverso il solo
Pil, che è idoneo a svolgere soltanto una funzione strumentale per altre finalità (6).
(5) Sul “tappi rulant” il nostro movimento in un verso viene annullato dal movimento
opposto del tappeto. Si pensi, ad esempio, ad un maggior impegno professionale
che produca maggiori risorse ma riduca significativamente la presenza in famiglia e
la vita di relazione in generale, con scadimento della qualità della vita.
(6) Basti considerare che un aumento del PIL, ove fosse realizzato con danno
ambientale, inciderebbe negativamente sul livello di felicità. Inoltre il Pil non può
misurare una serie di condizioni capaci di incidere sulla felicità, come il grado di
libertà delle scelte o l’esercizio di altri diritti, la qualità delle relazioni col prossimo,
che in molte situazioni, familiari o di amicizia, ma non solo, offrono gratificazioni
legate al “dare”, anziché all’ “avere”, ed in genere la premiante realizzazione di
comportamenti configurabili come “altruismo razionale”, richiamato anche
recentemente da Letizia Moratti nell’incontro all’ONU.
Il dannoso tutto e subito
La metafora delle lenticchie ci riporta alla tendenza a mirare al solo companatico,
tutto e subito possibilmente. Un tutto e subito che mina l’economia, la pace sociale,
l’equilibrio ambientale. In economia il tutto e subito induce a puntare sulle
“performance” di breve periodo, buttando le risorse disponibili in un vortice che mette
talvolta a rischio la solidità nel medio e lungo termine anche di Istituzioni storiche.
E’ quello che è accaduto con l’avvio della crisi, dapprima finanziaria e poi dell’
economia reale, con i titoli “sub prime” nell’estate 2007 negli USA e poi estesasi a
tutto il mondo. Crisi ancora da superare, soprattutto in taluni Paesi europei,
nonostante l’enorme liquidità inserita e l’accrescimento del debito globale, da
142 mila a 199 mila miliardi, tra il 2007 ed il 2014, corrispondente al 286% del Pil
dell’intero mondo. Senza tener conto dell’ esorbitante massa di titoli derivati in
circolazione, capaci di crisi, anche sistemiche.
La corsa al profitto a breve induce a trascurare la solidità finanziaria nel medio e
lungo periodo e lo stesso equilibrio ambientale. Sembra di essere su di un
metaforico Titanic in cui alcuni stanno sul ponte di comando, altri curano i loro affari
o banchettano sui ponti riservati, mentre i più sono ammassati nel deck e viaggiano
verso una meta a tutti ignota, anche per il venir meno dei tradizionali modelli
interpretativi dell’economia e della società, travolti dagli imprevedibili effetti della
finanza globalizzata, con la sua enorme massa di debito pubblico e privato e di
titoli, per lo più derivati, che non potranno mai essere onorati, ma solo rinnovati
anche con fantasiose modalità di ingegneria informatica (7).
La finanza sociale
Tutto ciò porta a considerare l’esigenza di poter disporre di strumenti finanziari in
grado di intervenire direttamente nel circuito finanziario, per il cui tramite le risorse
possono affluire a sostegno degli investimenti virtuosi. E il caso dei “New
instruments of social finance”, richiamati da Letizia Moratti nell’incontro al Palazzo
di Vetro di New York, per la presentazione del “Manifesto di finanza sociale”, da lei
promosso e proposto anche come sviluppo culturale per il rilancio della sostenibilità
della crescita nei mutandi modelli economici e sociali.
Un percorso culturale capace di immaginare interventi di lungo periodo che sappiano
operare virtuosamente nel sociale e per la tutela dell’ambiente. In assenza dei quali
si rischia non solo di andare indietro, di fare come il gambero nel consumo del pane,
ma di accrescere le sperequazioni sociali già eccessive, la povertà di parte del
mondo, la denutrizione di vaste popolazioni e l’inaridimento della terra (8).
(7) Secondo il “McKinsey Global Institute”, il Giappone, col 400%, è il più indebitato
tra i Paesi sviluppati, mentre l’Italia figura al 12% posto con il 259%, preceduto da
Paesi come l’Olanda col 325%, il Belgio, col 327%, la Svezia, col 290%, la Francia,
col 280%. Con la crisi sino stati immessi enormi capitali: secondo la “Shadow
BankinG”, negli USA 4 trilioni di dollari, in Giappone 2 trilioni, nell’ Eurozona
1 trilione di dollari: Ma sembra ne abbia beneficiato molto la finanza e quasi nulla
l’economia reale, col lavoro che scarseggia e le difficoltà nelle prestazioni della
Pubblica Amministrazione, soprattutto locale.
8) ONU, “New instruments of social finance”, New York, Palazzo di Vetro,
4 novembre 2014.
La fame nel mondo
Viene posta in discussione la sostenibilità futura della filiera alimentare, in vista dei
9 miliardi di abitanti della terra, che richiedono un aumento del 60% della produzione
di derrate alimentari entro il 2050. Da realizzare pur in presenza di imprevedibili
cambiamenti climatici, di tendenze allo spreco di circa un terzo del cibo prodotto e
con esso delle risorse naturali e di tutti gli altri fattori utilizzati, di un eccessivo
impiego di cereali nell’allevamento del bestiame e nella produzione di carburanti,
che sottraggono terra alle coltivazioni per l’alimentazione umana (9).
Ad aggravare queste considerazioni si consideri il miliardo di persone affamate, in
parte residenti in Paesi economicamente sviluppati, cui si aggiungono due miliardi
senza adeguata alimentazione di alcuni nutrimenti essenziali, nonostante nel mondo
ci siano alimenti in abbondanza (10). Vi si contrappone il miliardo e mezzo di
persone obese o in rilevante sovrappeso, dovuto pure ad un errato schema di
consumo, eccessivamente orientato alle carni, con pesanti costi ambientali,
soprattutto in alcuni Paesi sviluppati (11). Si pensi, infine, alle sperequazioni nella
produzione e nella distribuzione delle derrate, originarie per l’ 80% da piccoli
produttori spesso rimunerati in misura insufficiente rispetto al loro impegno e privi di
adeguati incentivi, nonostante la riconosciuta loro virtuosità nella salvaguardia della
terra (12).
Papa Francesco ha recentemente ricordato che “si tratta di eliminare quegli ostacoli
che penalizzano un’attività così preziosa e che spesso la fanno apparire poco
appetibile alle nuove generazioni, anche se le statistiche registrano una crescita del
numero degli studenti nelle scuole e negli istituti di agraria, che lascia prevedere un
aumento degli occupati nel settore agricolo”.
Un settore che a giudizio di Carlo Petrini, ideatore di “Slow Food”, offre la possibilità
di realizzarsi in una dimensione più umana con applicazione della creatività
individuale, del vivere con se stesso, del buon uso delle risorse secondo l’anima dei
contadini e degli artigiani, di chi tiene viva la creazione. Si può concludere che per il
(9) Un terzo della produzione mondiale di cereali è utilizzata come mangime per
animali. Philip Lymbery, presidente della “Compassion in world farming”, in
“Farmageddon - the true cost of cheap meat”, precisa che per allevare una
tonnellata di pesce salmone o trota, vengono sacrificate sei tonnellate di acciughe
o di altri pesci non di allevamento.
(10) Questo paradosso è stato denunciato anche da Giovanni Paolo II con l
’affermazione che “C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiarne, mentre lo
spreco e lo scarto sono davanti agli occhi di tutti”.
(11) Philip Lymbery, presidente della “Compassion in world farming”, in
“Farmageddon - the true cost of cheap meat”, opera citata, sostiene che nei Paesi
sviluppati si consuma da due a tre volte il fabbisogno di carni.
(12) Un discorso a se meriterebbe il nostro Paese, osannato per il buon cibo e il
particolare clima, utile alle coltivazioni agricole, che esporta per 31 miliardi di
Euro e importa ben 35 miliardi di alimenti dall’estero.
cibo si tratta, anche e forse soprattutto, di un problema culturale che coinvolge tutto,
dai processi di produzione, alla destinazione e distribuzione, allo schema generale
dei consumi alimentari. Con Papa Francesco, può avvertirsi l’esigenza che sia
“ripensato a fondo il sistema di produzione e distribuzione del cibo”, argomento che
sarà ripreso nell’enciclica in approntamento. Egli ha altresì affermato che
“L’assolutizzazione delle regole del mercato, una cultura dello scarto e dello spreco
che nel caso del cibo ha proporzioni inaccettabili, insieme con altri fattori,
determinano miseria e sofferenza in tante famiglie”.
Lo schema generale dei consumi
Quanto all’utilizzo di cibo, si avverte l’esigenza di nuove tematiche in grado di
orientare verso consumi più salubri e compatibili con l’ambiente, come validamente
sostenuto dalla Fondazione Barilla (13). Se l’intera popolazione del globo
consumasse secondo la media italiana, non dissimile da quella europea,
occorrerebbero le risorse di due mondi e mezzo, mentre se consumassimo tutti
come un etiope, basterebbe mezzo pianeta per sopravvivere. Nel suo assieme il
problema della fame è quindi un problema più politico che tecnico.
Viene qui posto in questione il diritto all’alimentazione, che solo 35 Paesi hanno
inserito nella propria Costituzione (14), come ha recentemente ricordato il Ministro
alle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Maurizio Martina, e che va richiamando
sempre più l’attenzione di quanti abbiano a cuore il futuro dell’umanità.
Il cibo denota più di ogni altro indicatore il livello di sviluppo di un’area, sia per gli
aspetti economici, sia per quelli della virtuosità dei consumi e della qualità della vita.
In questo è soprattutto il consumo di pane l’elemento di maggior portata di un’analisi
del reale livello di sviluppo socioeconomico e di virtuosità nel vivere valori autentici
e non effimeri; questi ultimi spesso indotti da distorsive campagne pubblicitarie.
Le nuove modalità di valutazione
Per meglio valutare dove il consumo di pane è più virtuoso, sono in fase di studio
alcuni modelli che tendono ad individuare il punto in cui il consumo generale da
virtuoso diviene indicatore di scadimento nel consumismo e, in questo processo,
dove si colloca lo specifico utilizzo del pane, come nutrimento virtuoso del corpo
e delle aspettative di gratificazione del lavoro e della vita. Matrici e modelli da
applicare poi ad altri alimenti, con i dovuti aggiustamenti. In sintesi una curva
“gaussiana” che delinei il punto di svolta, da sovrapporre a quella del consumo del
pane nelle diverse aree considerate, suddivise per classi di reddito delle popolazioni.
Questi modelli, partendo dal mio “Metodo della scomposizione dei parametri”,
cui l’Enciclopedia Treccani ha dedicato una voce (15) e utilizzando matrici
(13) Utili al riguardo le indicazioni della Fondazione Barilla, in VI Edizione
“International Forum on Food and Nutrition” , Università Bocconi, Milano,
3/4.12.2014
(14) Tra i quali Brasile, India, Messico e nessun Paese dell’Europa.
(15)In Appendice: Enciclopedia Treccani, “Metodo della scomposizione dei parametri”
http://www.giancarlopallavicini.it/economia/metodo-della-scomposizione-dei-parametri
ergonomiche con ricorso a SW Neurali e ad alcune applicazioni dell'intelligenza
artificiale, sono infatti in grado di indicare dove il consumo di pane appare più
virtuoso, in rapporto ai consumi complessivi, alle capacità di spendita e alle
tradizionali abitudini di consumo delle popolazioni. Il ricorso a queste modalità di
analisi accresce e confronta meglio, su più livelli e con diverse interconnessioni,
le variabili considerate nella scomposizione dei parametri.
Di tali innovazioni tecnologiche si hanno esempi nell’ambito della filiera alimentare
come per la campagna di prevenzione denominata “DetoxFungi”, condotta nell’
Unione Europea, nonché in ricerche nella Pubblica Amministrazione italiana (16).
La tutela ambientale
Questi, dell’andamento del consumo del pane, dell’eccesso di consumi di carni e di
altre particolarità del consumismo, sono aspetti che coinvolgono pure la complessa
e vasta tematica della tutela ambientale e delle connesse variazioni climatiche.
Attorno ad essa va rivelandosi un interesse sempre crescente, anche per lo stimolo
indotto dai puntuali richiami delle principali Istituzioni internazionali e di Papa
Bergoglio (17), Il che mi induce ad estendere queste mie righe al rapporto fra attività
economica ed ambiente culturale e naturale ed all’esigenza, non più procrastinabile,
di meglio definire e più concretamente applicare la “soglia” alla quale arrestare il
diritto dell’uomo a intervenire sull’ambiente per migliorare la qualità della vita, senza
invece finire col peggiorarla, come annotato nel testo in “Appendice” (18).
Conclusioni
L’approfondimento conoscitivo sul pane, di cui è illuminato esempio questo nostro
evento su “La Civiltà del Pane”, nel più vasto programma di Expo 2015 e della Carta
di Milano, rappresenta un passaggio obbligato per consentire un futuro più virtuoso
all'umanità intera, che possa essere indotta a mediare col pane il piatto lusinghiero,
ma talvolta dannoso, delle sole lenticchie di Esau ed evitare a tutte le aree favorite
economicamente l'arretramento del gambero da me inizialmente richiamato, con la
sua dannosità per la salute, per l'equilibrio sociale, per la nostra madre terra e per la
qualità della vita di ciascuno e di tutti, con ciò riducendo le alee di un percorso meno
virtuoso che tutto travolga, come paventato in diverse sedi ed anche presso la FAO,
pure ad iniziativa dello scrivente (19).
Dal crescente interesse per le tematiche dianzi accennate e dibattute in diverse sedi
istituzionali e nell’imminenza dell’ Expo 2015, possono essere tratti alcuni
passaggi di un complesso, ma non eludibile percorso futuro, riguardante il pane e
l’assieme del cibo di cui è simbolo, tra i quali:
- crescita culturale, soprattutto ad iniziativa pubblica e nello specifico ambito della
formazione scolastica,
- miglior conoscenza del cibo sostenibile per il minor impatto ambientale, con
specifica attenzione alla virtuosità del pane e al contenimento degli sprechi di cibo;
- individuazione e realizzazione di azioni comuni di “marketing” per la valorizzazione
del pane;
- riduzione del divario fra il progresso tecnologico per il cibo e l’arretratezza nel
definire le possibilità ed i limiti dell’alimentazione, evidenziato anche dalle
riproduzioni di cibo mediante stampanti in 3D, recentemente proposto anche
in Italia da “Foodini”;
- misure di tutela e incentivazione in favore dell’imprenditoria agricola, con
particolare riguardo ai piccoli coltivatori;
- crescente attenzione al rapporto tra sviluppo economico e tutela ambientale;
- nuovo modello di sviluppo globale che riduca l’eccessiva sperequazione tra
ricchezza e povertà e ponga rimedio alle vaste aree di denutrizione, avendo
presente che si tratta di aspetto più politico che tecnico.
(16) Maggiori dettagli in http://www.giancarlopallavicini.it/economia/metodo-della-
scomposizione-dei-parametri/un-applicazione-concreta
(17) Di particolare interesse la sua affermazione “la terra non è un’eredità che noi
abbiamo ricevuto dai nostri genitori, ma un prestito che fanno i nostri figli a noi,
perché noi la custodiamo e la facciamo andare avanti per riportarla a loro”.
(18) In Appendice: Giancarlo Pallavicini, ”I limiti ambientali dell'agire economico",
in ONU/Unesco, Terzo Congresso Mondiale Zeri, Jakarta, 1997, relazione
anticipata in "Il Suono e la Parola", pubblicato dal Rotary Club Milano San Siro,
1996, col titolo "Economia e tutela dell'ambiente”.
(19) Giancarlo Pallavicini, Commento al vertice FAO di Roma del 3.06.2008
“Nella veloce dinamica dell’era globale, che produce profonde mutazioni con
l’intrecciarsi, colludere o scontrarsi delle diversità, accentramento della ricchezza,
aggravio della povertà e fame, va emergendo l’esigenza di una responsabilità
individuale e collettiva, senza la quale l’uomo è smarrito e perde una parte della
propria identità “ontologica”. Viene meno il paradigma “libertà e responsabilità” che
è strategico nell’era globale, in cui tutti siamo sensibili ed esposti agli altrui
comportamenti, e ingrossa le frange degli emarginati, il cui disagio si riversa prima
o poi su tutti. anche per influssi di natura economica, determinando situazioni
sempre più difficili da controllare. Affinché l’auspicata responsabilità si sostanzi
positivamente è auspicabile intervenga una mediazione culturale in grado di
individuare e far emergere atteggiamenti e regole che attenuino l’esaltazione al
massimo profitto economico come unico obiettivo e non penalizzino l’uomo e il suo
ambiente sociale, culturale e naturale”.
Appendice
Giancarlo Pallavicini: “I limiti ambientali dell'agire economico”,
ONU/Unesco, Terzo Congresso Mondiale Zeri, Jakarta, 1997;
“Economia e tutela dell’ambiente”, in “Il Suono e la Parola”,
Rotary Club Milano S.Siro, 1996, Il Narratario, da pag. 97.
E’ in atto una crescente attenzione alla “soglia” alla quale arrestare il diritto dell’uomo
ad essere “agricola” e “faber”, ora “communicans” o “coniunctus”, intervenendo sull’
ambiente per migliorare la qualità della vita, senza giungere invece a peggiorarla.
Ciò presupposte ovviamente di stabilire un concetto di “migliore qualità della vita”,
che, ad esempio, consenta di dire se sia auspicabile vivere in un mondo meno
inquinato, ma con minori disponibilità di beni e servizi, oppure convivere con alte
produttività inquinanti.
Ne consegue che la fissazione della soglia alla quale arrestare la manipolazione
dell’ambiente non deve rispondere soltanto alla ‘legge economica’ di massimizzare
il profitto e minimizzare il danno, ora largamente prevalente. Basti pensare che non
è neppure detto che interventi esasperati per giungere a eliminare completamente il
danno fisico di un’eccessiva manipolazione dell’ambiente naturale possa essere
legittimo, se ciò non assecondasse in modo adeguato il rapporto tra l’uomo e la
natura. Ne deriverebbero, infatti, frustrazioni delle esigenze di fruizione immateriale,
anche soltanto estetiche, dell’ambiente naturale.
Questo impone l’individuazione e la definizione di modelli concettuali nuovi, atti a
considerare il comportamento degli ecosistemi e gli insieme di interazione tra attività
umana e ambiente, nell’ambito di uno scenario complessivo, che consenta una
visione d’assieme delle diverse parti interagenti nel complesso sistema ambientale e
che escluda considerazioni isolate, inidonee a una corretta comprensione dell’uomo
e dell’ambiente.
Balza da ciò in evidenza anche la dimensione non certo locale, ma universale della
materia trattata.
Le politiche sinora adottate, con il ricupero del danno prodotto nell’immediato o con
l’attenuazione dell’inquinamento, non sembrano assecondare la visione d’assieme
del rapporto uomo-ambiente e l’esigenza di chiaramente individuare nei
comportamenti economici e sociali uno dei principali fattori di influenza negli
squilibri ambientali. Soprattutto appaiono inidonee a determinare il mutamento
culturale atto a comprendere il fatto ambientale e i limiti da esso imposti allo sviluppo.
Il conflitto tra ambiente e sviluppo, che certamente esiste, va risolto con la
definizione, in via preventiva, del “limite accettabile”, abbandonando la prassi del
rimedio a posteriori, con ciò evitando di varcare i limiti di sostenibilità, oltre i quali
vengono penalizzati uomo e ambiente. Si dovrà dunque sviluppare una coscienza
comune, che stimoli alla valutazione delle conseguenze sugli altri degli atti volti al
perseguimento dell’interesse individuale.
A questa coscienza non potranno sottrarsi le aziende di produzione e servizi.
E’ di tutta evidenza, infatti, che l’attività d’azienda, pur facendo perno, per come
deve essere, sull’aspetto più strettamente economico della vita aziendale e
ovviamente sul profitto, non può trascurare, ma deve anzi tenere esplicitamente
presente una serie di altre istanze “interne” ed “esterne”, alle quali la vita stessa
dell’azienda è sensibile e che compongono, nell’assieme, la realtà in cui l’azienda
vive ed opera. Di queste realtà, del resto, le aziende sono cellule economiche
singole, il cui armonico comporsi tra di loro e con altre componenti non economiche,
consente possibilità di vita e di successo allo stesso sistema economico cui
partecipano.
Tale sistema è espressione dell’attività umana volta al miglioramento della qualità
della vita, unitamente ad altre componenti. Il denaro vi gioca un ruolo strumentale
essenziale. Ma allorquando da mezzo di scambio diviene fine unico dell’attività,
finisce col porre in dubbio la stessa legittimità delle manipolazioni umane sull’
ambiente. Partendo da questa considerazione si giunge ad auspicare l’adozione
di modalità di valutazione dell’attività economica che vadano oltre il solo profitto.
Anche al livello “macroeconomico” va delineandosi l’inadeguatezza delle valutazioni
arcaiche legate al solo “PIL - Prodotto Interno Lordo”. Esso appare utile per funzioni
di indirizzo dello sviluppo economico, soltanto laddove venga perseguita una
disponibilità sempre crescente di beni e servizi, a prescindere da ogni altra
istanza dell’uomo col suo ambiente sociale, culturale e naturale.
Ma in circostanze caratterizzate da squilibri socio-economici e da degrado sociale,
culturale e naturale, che sollecitano indirizzi di limitazioni nell’uso delle risorse e
di attenzione alla loro più equa ripartizione, il solo PIL evidenzia tutta la sua arcaicità,
non essendo in grado di assecondare un più virtuoso sviluppo.
Tornando alle modalità di valutazione dell’attività d’azienda, un primo tentativo di
innovazione è stato avviato negli anni 1960, a titolo forse un po’ provocatorio, con
la proposta del “Metodo della scomposizione dei parametri”(*), ma più recentemente
una simile impostazione delle quantificazioni aziendali sembra suscitare maggior
interesse, soprattutto nei Paesi dell’Est europeo, ma anche nell’Occidente, in
relazione ai condizionamenti promossi, pure a livello economico, dal rafforzarsi delle
istanze ambientali. Pure a Cuba, nell’economia della pianificazione che non sembra
offrire margini alle applicazioni innovative, la presentazione del suddetto modello ha
suscitato interesse, sia pure al livello solo accademico. (**)
Si tratta di fermenti suscettibili di portare nel tempo a risultati concreti, in vista di un
prevedibile approfondimento, non solo culturale, dei comportamenti economici e
sociali e della qualità della vita, al quale tutti dobbiamo essere sensibili.
Questo stesso incontro costituisce conferma dell’interesse all’argomento trattato
e, per certi aspetti, un significativo approfondimento, volto alla futura definizione di
più sensibili rapporti tra impresa ed ambiente, che presupposte nuovi modelli
concettuali ed etici, capaci di tradursi in futuri e più virtuosi atteggiamenti concreti.
(*) Giancarlo Pallavicini, “Strutture integrate nel sistema distributivo italiano”, Milano,
Giuffré Editore, 1969;
Enciclopedia Treccani, “Metodo della scomposizione dei parametri”, in“Appendice”
(**) Giancarlo Pallavicini, "Sirven nuevos mensajes y reglas a la globalizacion",
in III Encuentro Internacional de econonistas, "Globalizacion y problemas del
desarrollo", La Habana, 2000
Enciclopedia TRECCANI
METODO DELLA SCOMPOSIZIONE DEI PARAMETRI
Aggiornamento dei canali tematici
metodo della scomposizione dei parametri di Giancarlo Pallavicini
Modalità di calcolo dei risultati non direttamente economici dell’attività d’impresa,
connessi ad istanze etiche, morali, sociali, ambientali e culturali, che ha introdotto
il moderno concetto di “responsabilità sociale d’impresa” ed ha anticipato i suoi più
recenti sviluppi.
Esso è stato ideato e proposto dall’economista italiano Giancarlo Pallavicini negli
anni 1960, nel presupposto che l’attività d’impresa, pur essendo orientata al profitto
di chi la promuove, non dovesse trascurare, ma tenere esplicitamente presente,
una serie di istanze riguardanti l’uomo ed il suo ambiente sociale, culturale e
naturale.
Non come mera affermazione di principio, bensì in modo concreto e calcolabile
come avviene per il profitto. Dopo una prima applicazione sperimentale presso
la Cariplo negli anni 1960, intesa a valutare l’apporto dei singoli sportelli bancari allo
sviluppo del “credito speciale”, all’epoca erogato soprattutto attraverso il
Mediocredito Lombardo, questo metodo è stato pubblicato dall’Editore “Giuffré” nel
1968 in “Strutture integrate nel sistema distributivo italiano”. Una proposta all’epoca
rivoluzionaria, ripresa e sviluppata nei suoi presupposti da altri economisti e
particolarmente da Robert Edward Freemann, nel suo saggio “Strategic
Management: a Stakeholder Approach”, pubblicato a Londra nel 1984.
Soltanto in epoca recente viene però compreso nella sua valenza come strumento
di calcolo dei risultati non direttamente economici, in grado di esercitare i suoi effetti
anche sul risultato finale e di apportare valore all’impresa.
Non fosse altro che per il fatto che le istanze interne ed esterne all’impresa, alle quali
il metodo si riferisce, caratterizzano l’”habitat” in cui l’azienda opera ed influenzano
le possibilità di vita e di successo dell’impresa stessa. Inoltre, esse coinvolgono
positivamente i portatori di interesse (stakeholders) interni ed esterni all’impresa,
apportandovi valore.
Per questo, nel crescente interesse per la “responsabilità sociale d’impresa”,
manifestatosi all’inizio del nuovo millennio e che ha ricevuto ulteriore impulso dalla
crisi mondiale avviatasi nel 2007, dapprima nell’ambito finanziario e poi nell’
economia reale, va delineandosi in modo sempre più marcato l’esigenza di
considerare, e quindi di valutare concretamente, il grado di affermazione dei
principi dell’etica nell’economia in generale e nell’attività finanziaria in particolare.
Si afferma pertanto il principio che per una simile valutazione debba farsi ricorso
a nuove modalità, che vadano oltre i cosiddetti “codici etici” ed i “bilanci sociali”
ed oltre gli stessi “standard di qualità”, per avvicinarsi ai criteri che, negli anni 1960,
hanno ispirato il “Metodo della scomposizione dei parametri”.
Secondo l’impostazione iniziale di Pallavicini, esposta nella “Prefazione” al volume
citato, si tratta di operare “…formulando nuove ipotesi di impostazione e di
interpretazione delle determinazioni quantitative di maggiore e più frequente rilievo
… … in cui le astrazioni proprie dell’indagine, che contempla fenomeni d’azienda
nell’aspetto economico e condizionamenti dell’ambiente in cui l’azienda opera,
vengono quantificate sì da addurre ad un contatto con i complessi atteggiamenti
dell’amministrazione concreta”. I richiami a questo metodo, all’epoca rivoluzionario,
hanno voluto costituire, secondo il suo ideatore, un “… contributo all’indirizzo di
metodo a ciò appropriato e vogliono essere soprattutto intesi a richiamare
l’attenzione di quanti, uomini di scienza ed operatori economici, seguono con
particolare cura questa materia”.
All’origine questo metodo proponeva di articolare l’obiettivo finale dell’azienda in
una serie di parametri, che consideravano, oltre al profitto, non più identificabile
come unico obiettivo, una serie di componenti aventi un rilievo non direttamente
economico, ma non estranei all’esigenza di conseguimento di un adeguato reddito.
Componenti in grado di apportare valore all’impresa, per gli effetti positivi nella
proiezione e nel consolidamento dell’impresa, per il miglioramento della percezione
fattane dagli “stakeholders” interni ed esterni all’impresa e per il più armonico
comporsi nel sistema economico cui l’impresa partecipa.
Secondo il metodo dei parametri, occorre procedere in diverse direzioni riguardanti:
1) l’articolazione dell’obiettivo dell’attività economica, che va portato al contatto con
i fenomeni concreti dell’impresa e dell’ambiente in cui essa opera, attraverso una
ripartizione che assegni ad ogni componente una precisa aliquota dell’obiettivo
globale fatto uguale a 100;
2) l’analisi dell’attività d’impresa, che deve prendere in considerazione la complessa
funzione di processo e prodotto, nelle singole azioni in cui si dirama, individuandone
di ciascuna il possibile effetto su uno o più componenti l’obiettivo globale;
3) il raggruppamento in classi e sottoclassi delle singole e varie azioni, che consenta
di valutare il grado in cui esse assecondano o contrastano il perseguimento dei
diversi componenti l’obiettivo dell’impresa;
4) l’articolazione qualitativa, che va riportata agli aspetti quantitativi di ogni classe
o sottoclasse di azioni, sulla base dei volumi operativi svolti, onde pervenire ad una
quantificazione esprimente il ruolo svolto da ciascuna di esse nel perseguimento
dell’obiettivo globale ed articolato, da cui estrapolare indirizzi utili ad orientare la
scelta delle migliori opportunità operative nei loro diversi aspetti.
A questa articolazione iniziale, che nell’obiettivo globale riuniva profitto e risultati non
direttamente economici, si è successivamente accompagnata una diversa
applicazione, intesa a superare le difficoltà insite nell’ammettere negli organi
decisionali i rappresentanti di categorie estranee al capitale di rischio. L’ideatore del
metodo ha quindi sviluppato ipotesi di contabilità specifiche per gli obiettivi non
direttamente economici, da porre a lato della normale contabilità in moneta di conto,
riguardante il solo profitto. Esperienze di tale impostazione sono state avviate all’
estero e, soprattutto nell’Unione Sovietica e nella Federazione Russa, delle quali
Pallavicini è stato il primo consulente occidentale per la riforma dell’economia,
soprattutto all’epoca di Michail Sergeevic Gorbacev. Esse hanno poi subito una
battuta d’arresto con Boris Nikoleevic El’tsin, meno sensibile alla considerazione
degli aspetti non direttamente economici e meno incline a coniugare il profitto col
sociale.
Il Metodo della scomposizione dei parametri è stato inoltre utilizzato per la
valutazione del contributo offerto dalle singole unità operative nelle aziende divise ed
ha pure incontrato applicazione nella valutazione dell’efficienza degli investimenti
pubblici, secondo le impostazioni richiamate nella citata opera “Strutture integrate nel
sistema distributivo italiano”. Il suo utilizzo si caratterizza per la flessibilità dell’
impostazione, che va correlata alle alterne fasi della congiuntura economica,
attraverso la riconsiderazione del peso di ciascun obiettivo parziale dell’attività
d’impresa, nell’ambito del più generale obiettivo a volta a volta prescelto.
La crisi globale del 2007 e la frequente sostituzione del debito privato con debito
pubblico sembrano consentire un più diretto intervento decisionale da parte di
rappresentanti dei portatori di interesse anche estranei al capitale e favorire lo
sviluppo di forme di valutazione degli aspetti non direttamente economici dell’attività
d’impresa, nello stesso ambito della misurazione del profitto, di cui il metodo della
scomposizione dei parametri rappresenta un’indiscussa anticipazione.
Infatti, le vicende dell’economia, indotte dalla crisi globale della prima decade del
terzo millennio, sembrano orientare verso il ricupero dell’impostazione iniziale di
questo metodo, nella quale profitto ed obiettivi non direttamente economici
partecipano ad un’unica elaborazione del risultato dell’attività d’impresa, mentre il
necessario aspetto monetario, nella sua specifica contabilità, ricupera il ruolo che
gli è proprio, quale strumento finalizzato al perseguimento dell’obiettivo globale dell’
attività d’impresa.
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