25 Mar

Può ripetersi la biblica Torre di Babele

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Educazione e Sviluppo per la pace tra i popoli”, Convegno di Studio,

nel 50° dell’Enciclica Populorum Progressio e nel 60° del Trattato di Roma

Università Cattolica el Sacro Cuore, Brescia, 23/25 Marzo 2017

 

Giancarlo Pallavicini, in “Nuovi scenari socio-culturali e sfide globali”: Testimonianze

 

Può ripetersi una Torre di Babele?

Non aspiro al ruolo di Cassandra, anche perché confido nella Provvidenza Divina.  

Voglio soltanto rimarcare la grande attualità delle esortazioni della Populorum 

Progressio. E mi chiedo, e chiedo a Voi, se nei prossimi 50 anni la corsa al massimo

profitto possa riproporre la biblica vicenda della Torre di Babele.

Infatti, le vicende del recente passato e le prospettive del futuro appaiono ancora 

più bisognose di un nuovo e più virtuoso modo di intendere e vivere l’economia. 

Dall’epoca dell’Enciclica Populorum Progressio lo scenario appare aggravato da 

parecchie ombre. Ed anziché unirsi per valutarle ed affrontarle, va affermandosi  

la tendenza a rinchiudersi nel proprio “particulare”, di guicciardiniana memoria, con 

ciò  sottraendosi alla comune ricerca di un mondo migliore. 

Valgano gli esempi della Brexit e delle chiusure di Trump, che sminuiscono il 

paradigma della globalizzazione, con gravi ripercussioni sul commercio mondiale

e sullo sviluppo dell’economia.

Non vi è chi non veda come tutto sembri orientarsi verso un interesse individuale o 

di gruppo e di nazione, che prescinde dagli altri. In un mondo che vive già gravi 

sperequazioni nella ripartizione della ricchezza e nell’utilizzo delle risorse, 

soprattutto di quelle alimentari, con diffusa presenza di poveri e di affamati. E’ noto

che dal 2015 l’1% della popolazione, che si è pure avvantaggiato della crisi,

possiede più ricchezze del restante 99%  dell’umanità. 

In Italia solo, si fa per dire, il 25%, a fronte del milione di famiglie senza lavoro (Istat)

Il tutto col contorno di rischi sistemici nella finanza, con un volume di derivati 

in aumento, nonostante sia partita da loro la crisi avviata negli anni 2007, che è pari

a 10 volte il Pil mondiale e che non potrà mai essere rimborsato, ma solo rinnovato 

con l’ingegneria finanziaria. 

Riguardo al futuro, ci troviamo sulla soglia di un veloce cambiamento indotto dall’ 

utilizzo delle tecnologie innovative, dai robot all’intelligenza artificiale, che costituisce 

un’opportunità solo se è ben gestito. Purtroppo rischia di essere sospinto soltanto 

dalla ricerca del massimo profitto ed estraneo ad ogni aspetto riguardante l’uomo e 

il suo ambiente sociale, culturale e naturale. 

Quindi una corsa all’innovazione non gestita e neppure mediata culturalmente, nel 

rispetto dei valori dell’umanità. 

Recenti studi riguardanti gli Stati Uniti prevedono che nel volgere di 25 anni il 47% 

delle attuali attività lavorative verranno svolte dai robot e, secondo uno studio della

Oxford University, sparirà la metà dei posti lavoro. Una recente ricerca della 

McKinsey, ancora non pubblicata, sui cicli lungi scoperti da Nicolaj Kondratiev,

con particolare attenzione allo sviluppo tecnologico nel prossimo cinquantennio, 

anche come estrapolazione della periodo precedente, prevede che entro il 2066

vi saranno 1, 3 miliardi di posti di lavoro in meno.  Partendo dal concetto di 

“distruzione creatrice ”proposto dall’economista Joseph Schumpeter, nella prima 

metà del novecento, si rischia ora di passare alla “creazione distruttrice”.

Una prospettiva catastrofica, che produrrà in misura crescente i propri nefasti effetti

già a partire dai prossimi anni, che induce a ricercare e attuare comportamenti atti

a gestire questo cambiamento. Qualche proposta è già nell’aria, soprattutto ad

iniziativa degli addetti ai lavori; ne è un esempio la quanto avanzato da Bill Gate,

sulla tassazione  dei robot per il posto che tolgono ai lavoratori. Ma si tratta di 

iniziative parziali, che non sono in grado di interpretare e gestire gli effetti del 

processo innovativo. Infatti, può essere risolutiva solo una considerazione 

d’assieme dei fenomeni riguardanti l’economia, la società , l’ambiente, che ponga 

al centro l’uomo, con i suoi valori. 

Questo chiama in causa la Populorum Progressio, dell’illuminato Pontefice Paolo VI.

Ricordo che all’epoca della sua promulgazione ero impegnato all’Ufficio Studi della 

Cariplo (per inciso avevo come collaboratore Vittorio Sora bresciano, che fu 

Assessore in Regione, vicino all’orientamento di Papa Montini nell’economia e nella 

società)

All’Ufficio Studi Cariplo prestammo particolare attenzione a questa Enciclica. 

E per me, segnatamente nella considerazione dei punti 26, sul rigetto del solo 

profitto come motore del progresso economico, e 28, sull’impresa che diventi una 

comunità delle persone, con l’ovvio presupposto di un nuovo e diverso rapporto del 

capitale col lavoro, in sintonia con la “Quadrigeminus Anno” di Pio XI, del 1931, e 

con adesione alla Teoria Generale di Keynes, di cui si ebbe traccia anche nel Codice 

di Camaldoli e nell’economia mista dell’ultimo dopoguerra, con Sergio Paronetto,

Vanoni e il gruppo della Fuci.

Fu per me l’occasione per rendermi conto che l’economia, così come era, non 

poteva aderire al magistero di Paolo VI.

Non era neppure in grado di seguire con il necessario cambiamento, l’avvento

del Trattato di Roma, dal quale erano da attendersi cambiamenti di rilievo, con

l’emanazione della cosiddette “Direttive”.

Pensai che l’attività d’impresa, pur facendo perno, per come deve essere sull’

aspetto economico, e quindi sul profitto, non potesse più trascurare una serie di 

istanze, interne ed esterne all’azienda, di ordine morale, etico, sociale e di 

attenzione all’ambiente colturale e naturale. Tale attenzione riguardava quindi 

risultati non direttamente economici, ma in grado di apportare valore all’impresa. 

Non fosse altro che per il fatto che queste istanze caratterizzano l’ “habitat” dove

l’impresa vive ed opera e, quindi, ne influenzano le possibilità di vita dei successo, 

anche in conseguenza della maggior attenzione ai portatori di interesse, i cosiddetti

“stakeholders”.Tutto questo non come mera affermazione di un principio, ma come 

concreta possibilità di attuazione. Immaginai pertanto una modalità di calcolo di tali 

risultati, denominato “Metodo della Scomposizione dei parametri”. Cosa ben diversa 

dai codici etici e bilanci sociali apparsi in questi ultimi decenni, che sono 

esercitazioni interessanti, ma non idonee a imprimere un cambiamento. 

Solo così si potranno evitare tracolli aziendali e sociali i sviluppare nuove attività e 

competenze, soprattutto nell’assistenza ai disagiati, all’istruzione ed alla formazione 

professionale, orientata all’innovazione, avendo presente la necessità di “imparare 

ad apprendere”, all’attenzione all’ambiente culturale e naturale.

Questo metodo ha avuto iniziali applicazioni in Cariplo, con Giordano Dell’Amore, 

per il calcolo dei contributo offerto dalle singole Filiali, ha interessato Adriano Olivetti,

per la sua Economia di Comunità, poi Chiara Lubich fondatrice del Movimento dei

Focolari, per l’Economia di Comunione, nella sua vocazione a vivere il Vangelo. 

Ha pure avuto attenzione presso l’Accademia Russa delle Scienze, con la 

perestrojka di Gorbacev, e presso l’Accademia di Cuba, che è tuttora interessata ai 

suoi sviluppi. 

Questo metodo di valutazione è stato pure utilizzato per ricerche promosse dall’

Unione Europea, con l’applicazione degli sw neurali dell’intelligenza artificiale, ad 

iniziative del Ceres e con l’apporto dell’Università di Roma. Per l’Enciclopedia 

Treccani, che gli ha dedicato un lemma, questo metodo costituirebbe il primo 

fondamento della responsabilità sociale d’impresa.

E’ in programma, anche per l’apporto culturale e istituzionale di Monsignor Zani , 

della Fondazione Centesimus annus Pro Pontifice, e di altre istituzioni vaticane, 

un approfondimento, come primo passo verso l’individuazione di nuovi modelli di 

sviluppo sollecitati da Papa Francesco.  Tutto questo partendo proprio dalla 

Populorum Progressio.

Chi volesse saperne di più può vedere sul mio sito www.giancarlopallavicini.it.  

Vi troverà pure  il lemma dell’Enciclopedia Treccani.

Dell’argomento si occuperà anche una Fondazione Onlus, costituita con persone

amiche, impegnata pure nel garantire possibilità di vita e di successo alle iniziative

umanitari e culturali già realizzate a Kinshasa nel Congo, nel Nepal e in Italia, anche 

in collaborazione con S.F.E.R.A. per la Maison de Paix, di Kikwit,e l’Economia di 

Comunione congolese. Nel passato ha finanziato  una ricerca preso il San Raffaele 

di Milano,sull’ alzheimer. Attualmente è impegnata nella telemedicina per gli anziani. 

Tornando al Metodo della scomposizione dei parametri, si tratta, in sintesi, di fare 

ricuperare all’economia la dimensione relazionale con le altre discipline riguardanti 

l’uomo, la società, l’ambiente culturale e naturale.

All’origine l’economia era pensata come strumento per meglio distribuire a vantaggio

delle popolazioni, i beni prodotti dalla prima industrializzazione. 

Nella ricerca di una sua identità come scienza, ha rescisso le connessioni e smarrito 

la dimensione relazionale. Ne è risultata un’esaltazione del profitto, come unico 

obiettivo.

Come Molok in osservanza del quale si rischia l’incomprensione, la rivalità, lo 

sfascio istituzionale. Quindi la nuova Torre di Babele, da me provocatoriamente 

richiamata all’inizio di questa conversazione, 

Le esperienze virtuose  qui esposte aprono, tuttavia,  alla speranza che il futuro ci 

riserbi opportunità di riscatto, dall’infausto predominio del profitto come bene 

supremo, da perseguire ad ogni costo ed estraneo ad ogni altro valore. Dal quale

derivano eccessi nella competitività concorrenziale, una concezione della proprietà 

privata come valore assoluto, estraneo a ogni istanza attinente alla centralità dell’

uomo come singolo e come umanità intera.

Concludo quindi, in adesione alla Populorum Progressio, affermando che si tratta 

essenzialmente di una conversione spirituale, umanitaria e culturale, sia individuale, 

sia comunitaria.  

Mi è anche caro qui richiamare un pensiero di Octavio Paz, messicano, premio 

Nobel per la letteratura, che in “El Arco y la Lyra”, scrive che “essere se stessi 

significa essere quell’altro che ciascuno porta dentro di se, come speranza o 

possibilità di essere”. 

Auguriamoci, se il Buon Dio vorrà, di scoprire che anche nell’economia vi è 

quest’altra  “possibilità di essere”.

 

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