18 Mar

Etica in Azienda e nella Società

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GIANCARLO PALLAVICINI                                                            Bozza

“Etica in azienda e nei valori sociali”,

1a Giornata Economico - Giuridica, Istituto Redi - Montepulciano, 10 Marzo 2016

 

L’argomento “Etica nell’azienda e nei valori sociali”, attorno al quale l’Istituto Redi ha meritoriamente indetto questo incontro, richiama al mio pensiero l’Angelo dipinto da Paul Klee, l’Angelo della storia, che aleggia al di sopra delle macerie che vanno accumulandosi, che lui vorrebbe arrestare senza riuscirvi, perché’ il vento gonfia le sue ali e lo sospinge lontano.

Anche noi, come l’Angelo di  Klee, dovremmo librarci al di sopra delle vicende del passato, per guardarle con occhi nuovi, capirne gli errori e individuare i valori da traslare nel futuro che avanza, che ci spinge sempre più veloce, mentre il presente sfugge ed il passato si fa subito remoto. Ci troviamo, infatti, in una dimensione dinamica e fluida, meno ancorata che nel passato a valori e certezze, che ad un tempo suscita difficoltà ed offre nuove opportunità.

Per meglio garantirci un futuro migliore appare quindi indispensabile riconoscere i valori che tutelano l’umanità ed il suo ambiente sociale, culturale e naturale. Quindi una valorizzazione etica, che ispiri i comportamenti e migliori la qualità della vita per tutti. Si tratta di un fatto culturale e di preparazione ai tempi che avanzano, come avremo modo di osservare in prosieguo. 

 

Per darci un metodo, vediamo, intanto, di analizzare alcuni aspetti etici nell’economia in generale, nell’ attività d’azienda e con riferimento ai valori sociali, per delineare una visione d’assieme in cui calare le relazioni puntuali e precise, che seguiranno per specifici ambiti dell’economia e della società.

 

Riguardo all’economia generale, può essere preliminarmente osservato che gli scompensi nello sviluppo delle diverse aree geografiche e l’accentramento della ricchezza sono strettamente connessi con una carenza etica nei comportamenti geopolitici e di natura economica e finanziaria.

La stessa globalizzazione, che espone  tutti alle conseguenze degli altrui comportamenti e che richiama il senso di responsabilità verso gli altri, va operando  nell’assenza di regole.  Ma anche dalla globalizzazione derivano preoccupazioni e opportunità. Essa suscita luci ed ombre, con le nuove allocazioni delle attività di produzione e distribuzione, che riducono le possibilità occupazionali di talune aeree economicamente avanzate, ma favoriscono lo sviluppo di altre aree e attenuano gli squilibri, che motivano instabilità, guerre locali e alimentano il fenomeno migratorio. 

Se ben indirizzata da regole condivise, la globalizzazione può contribuire al riequilibrio della produzione e della distribuzione delle risorse. Si tratta però di un problema che presuppone una comune volontà politica tutta da conseguire.  Molto dipenderà  perciò dal grado in cui le istituzioni ai diversi livelli e le imprese

multinazionali sapranno  dotarsi di regole e comportamenti eticamente compatibili, nell’ambito  economico ed in quello dei valori sociali. 

Sempre riguardo alle opportunità, e con riferimento al nostro Paese, si pensi pure alla ripresa dell’attività agricola, anche in funzione surrogatoria della ridotta capacità d’impiego nel settore manifatturiero, alle possibilità offerte dalla tutela ambientale, dalla valorizzazione dei beni culturali, dall’assistenza e cura della persona e, più in generale, dalla tecnologia informatica. D’altro canto, il processo sostitutivo in atto nel lavoro umano, con automatismi e  robotica,  indirizza l’intervento dell’uomo verso nuovi ruoli di ricerca e di assistenza ai moderni processi di produzione, distribuzione e servizi, nonché ad altre funzioni che apportano valore aggiunto ai beni ed ai servizi prodotti. Inoltre, esso apre a sviluppi innovativi ad oggi impensabili. Il comportamento etico nelle aziende costituisce comunque un aspetto di particolare rilievo per le aspettative di un futuro migliore per tutti. Ma ciò presuppone un cambiamento culturale profondo.

 

Nell’ambito della finanza, cui si deve la recente crisi avviata con i derivati “subprime” (Fannie Mae e Freddy Mac, con un capitale di 80 miliardi di USD, hanno rilasciato garanzie sui mutui per 5.000 miliardi), si notano tuttora comportamenti scarsamente etici, anche per il perseguimento di obiettivi di breve periodo, compromettendo talvolta la solidità  nel medio e lungo termine, nella ricerca delle maggiori 

performance lucrabili. Ad oggi, il volume dei titoli derivati in circolazione supera largamente quello d’inizio della crisi. 

Ad eccezione di alcune categorie di banche, quelle di maggiori dimensioni e più  internazionalizzate, hanno tenuto un comportamento poco etico. Spesso hanno rinunciato al ruolo di circuito finanziario, per il cui tramite le risorse disponibili vengono avviate al finanziamento dell’economia reale, trasformandosi in supermercati dei titoli, talvolta rischiosi, traslandone le alee di perdita sulla clientela.Nei Paesi dell’Unione Europea per ricapitalizzare le maggiori banche sono stati realizzati interventi pubblici per 700 miliardi di Euro, di cui 270 miliardi nella sola Germania. In Italia 1 miliardo, anche per i limiti del bilancio pubblico. Per salvare situazioni insostenibili si è quindi trasformato il debito privato delle banche in debito pubblico, a carico della collettività.

Ma pure la stessa crisi globale nell’ambito finanziario e, successivamente, nell’economia reale, sembra poter produrre effetti contrastanti. E non ci consola sapere che i 62 miliardari che possiedono ricchezza pari a 3,7 miliardi di persone meno dotate, dall’avvio della crisi ad oggi hanno aumentato i loro patrimoni di 500 miliardi di dollari Usa, corrispondenti a tutte le entrate tributaria dell’Italia nell’ultimo esercizio conclusosi. Del resto l’ 1% della popolazione del mondo possiede ricchezze pari a quelle del restante 99% E questo non è eticamente accettabile.

 

Passando all’etica nelle aziende è il caso di ricordare che all’origine l’economia era orientata verso la  miglior fruizione da parte delle popolazioni dei beni prodotti dalle prime attività industriali e a tal fine era strettamente connessa alle altre discipline riguardanti l’uomo e il suo ambiente culturale e sociale.

Nella ricerca di una sua identità come scienza, l’economia ha rescisso i legami con le altre discipline e ha smarrito la sua dimensione relazionale, orientandosi unicamente al profitto, a scapito di altri aspetti eticamente apprezzabili. Con ciò motivando in misura crescente la contrapposizione tra capitale e lavoro.

Soltanto in epoca recente è andata delineandosi la consapevolezza che l’attenzione ad altri aspetti dell’attività d’azienda che non presentano una relazione diretta con il risultato economico sono in grado di apportare valore all’azienda. Da qualche decennio si parla, infatti, di responsabilità sociale d’impresa. Per vero ancora in embrione, dato che si esprime in prevalenza con i codici etici ed i bilanci sociali, 

che sono per lo più apprezzabili operazioni di maquillage.

Anche la cosiddetta “legge di stabilità”, di recente promulgata, ha introdotto una particolare forma d’azienda, quasi a metà tra il “non profit” e la normale impresa, che oltre al profitto deve perseguire obiettivi di interesse sociale, umanitario o culturale. E’ un interessante passo avanti. Ma esso dimostra che non si è ancora adeguatamente compreso che l’attività d’impresa, pur facendo perno sull’aspetto economico della vita aziendale, e quindi sul profitto, deve sempre essere attenta ad altre istanze etiche, morali, sociali, culturali e ambientali, cui è sensibile la vita stessa dell’azienda. Non fosse altro che per il fatto che tali istanze compongono l’ “habitat” in cui l’azienda opera e ne influenzano le possibilità di vita e di successo. Questo non soltanto come un’affermazione di principio, ma come applicazione concreta, per la quale negli anni ’60 ho proposto il “Metodo della scomposizione dei parametri” per il calcolo dei risultati non direttamente economici dell’attvità d’impresa, cui la “Treccani” ha dedicato un lemma. L’attenzione a queste istanze coinvolge e motiva i vari portatori di interesse all’interno e all’esterno dell’impresa, i cosiddetti

“stakeholders”, ed è in grado di apportare valore all’impresa. Questo metodo è stato successivamente sviluppato, con applicazione di SW neurali dell’intelligenza artificiale, per la realizzazione di ricerche per l’Unione Europea e per Istituzioni pubbliche italiane. E’ attualmente all’attenzione di economisti cubani, in relazione alle recenti aperture al mercato, come già avvenne con l’Istituto di Economia dell’Accademia delle Scienze della Federazione Russa, per effetto della perestrojka di Mikhail Gorbacev. Questo metodo, già sperimentato alla Cariplo con Giordano dell’Amore, ha interessato Adriano Olivetti per la sua Economia di Comunità ed è stato caldamente auspicato da Chiara Lubich per l’Economia di Comunione del Movimento dei Focolari, che trova applicazione in 860 imprese sparse nel Mondo.

 

Riguardo all’etica nei sociale è rilevabile un’attenuazione dell’interesse verso taluni valori , anche per il venir meno delle ideologie e il ridursi dei legami tra le persone che non siano orientati al solo interesse individuale, con affievolimento della socialità e del senso di appartenenza.

L’eccesso di attenzione all’“ego” porta talvolta all’isolamento ed alla ricerca di gratificazione nel consenso effimero dei “mi piace” di Facebook, espresso da utenti che neppure si conoscono. 

Tutto ciò sembra delineare una scarsa attenzione all’etica nel sociale. Per fortuna a contraddire tale impressione vi sono ampi spazi di impegno etico nei movimenti per i diritti dell’uomo, per la tutela dei più deboli, per l’aiuto ai Paesi in iniziale sviluppo o depressi, nelle sperimentazioni di economie attente al  dare, 

come la richiamata Economia di Comunione, nelle iniziative economiche a Km. zero e dell’economia solidale, nella ricerca di nuovi indicatori della qualità della vita estranei al solo PIL, nel volontariato in favore dell’attenzione agli altri e via dicendo. Sono tutti correttivi dello scadimento già accennato, che costituiscono opportunità per quanti abbiano a cuore un futuro migliore per se stessi e per gli altri.

Ma vi è ancora molto da fare nella ricerca di un equilibrio nella società fluida, che solo l’attenzione all’etica potrà farci realizzare. Pensate che nel mondo vi è un’alta percentuale di obesi, che compromettono la loro salute, mentre un’altra larga parte dell’umanità è affamata o malnutrita.  Se tutti consumassimo come nella media di Paesi come la Somalia, basterebbe una metà del cibo disponibile per nutrire l’intera umanità. Al livello medio dei consumi di Paesi come gli USA o come quelli dell’Europa occidentale, occorrerebbe 3,5 volte il cibo attualmente prodotto nel Mondo.

Inoltre, abbiamo uno schema dei consumi che trascura istanze ambientali, delle quali paghiamo un caro prezzo. Nella sola Italia il cambiamento climatico comporta attualmente costi valutati in circa 10 miliardi di Euro all’anno.

Non etico appare anche l’accennato accentramento della ricchezza di cui si è detto, che trova ampio riscontro anche in Italia. Esso appare incomprensibile anche nella conoscenza  del concetto di “ricchezza senza felicità”, formulato dagli studiosi di neuroeconomia, per il quale, oltre un certo livello, la maggior disponibilità di beni e risorse non accresce la gratificazione. Si è come su di un “tapis roulant”, di cui puoi 

accelerare il ritmo, ma resti sempre in quel punto.

Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento od altri aspetti di queste note, può consultare l’estratto dagli Atti su “La Civiltà del Pane”, che ho lasciato in più copie alla Direzione di questo Istituto. Vi sono anche due appendici alla mia relazione, la prima delle quali è stata tenuta presente nell’enciclica “Laudato sì” ai 

paragrafi 138/141, mentre l’altra riproduce il lemma della Treccani “Metodo della

scomposizione  dei parametri”. 

Il tutto appare anche sul mio sito www.giancarlopallavicini.it 

 

A questo punto con voi giovani vorrei formulare qualche conclusione.

Anche voi come l’Angelo di Klee dovreste considerare il vostro vissuto e l’ambiente circostante per capirne ulteriormente il valore e scegliere ciò che ritenete più incline a voi, come singolo e come parte della comunità di appartenenza.

Un tempo, quando io avevo la vostra età, e ancora dopo sino a qualche decennio fa, era sufficiente apprendere un lavoro o maturare un’esperienza professionale per assicurarsi una corretta gratificazione e disponibilità economiche sulle quali impostare il proprio futuro, in un ambiente sociale e naturale in prevalenza stabile. 

Oggi non è più così: siamo in una realtà fluida, caratterizzata da una veloce dinamica e da continui cambiamenti. Non basta più quello che sappiamo fare, dobbiamo continuamente aggiornarci: dobbiamo imparare ad apprendere per non finire emarginati. Ed è un peccato lasciarci andare perché, se ci sono difficoltà da affrontare, ci sono pure grandi opportunità, impensabili nel tempo che fu.

Si tratta di prepararsi a vivere positivamente le circostanze del futuro, da persone libere da condizionamenti eccessivi e ottundenti. Partendo dall’assunto che essere liberi non vuol dire fare quello che si vuole, ma volere quello che si fa. Però per volere occorre anzitutto conoscere e poi scegliere. Per inciso ricordiamoci che quasi tutta l’economia dipende già oggi dalla conoscenza, anche se in misura diversa nei singoli Paesi evoluti. Poi occorre scegliere sempre il meglio, anche quando costa qualche sacrificio in più, perché è solo così che si può elaborare proficuamente il bagaglio datoci dalla natura, dalla famiglia, dalla scuola, dall’ ambiente culturale che ci è proprio. Solo così in un certo momento si arriva a non essere più soltanto la ricercata e pagata miglior elaborazione del bagaglio ricevuto, ma si è se stessi.

Per dirla con Octavio Paz, messicano premio Nobel per la letteratura nel 1990, in “El Arco y la Lira”, essere se stessi significa essere quell’altro che ciascuno porta dentro di se come speranza o possibilità di essere.

I vostri docenti forse ricorderanno il volumetto “Jonathan Livingston”. Esso narra di un gabbiano che, dopo di aver pescato quanto a lui serviva, non si attardava sullo  scoglio nell’attesa di avere ancora fame. Lui voleva volare sempre più in alto per buttarsi in picchiata a sfiorare gli scogli ed a lambire i flutti del mare. Sino a qui l’interessante volumetto, cui aggiungerei un seguito. Che a furia di volare sempre più in alto, un certo giorno Jonathan arriva laddove un’immaginaria barriera divide il conosciuto, il vissuto dal nulla: ma non si ferma: col moto delle sue ali suscita lo spazio nel quale volare ancora più su.

E’ ciò che auguro a ciascuno di voi giovani, che sarete i protagonisti del futuro e potrete programmare un mondo migliore per voi stessi e per gli altri, accomunati da valori etici autentici e condivisi, che scongiurino le macerie provocatoriamente da me evocate con l’ Angelo di Klee, l’Angelo della storia.

 

 

 

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