PUBBLICO E PRIVATO: CHE BANCHE! MA CHI PAGA?
Sono per cultura e scelta un liberista convinto, anche se valuto molto positivamente
la scelta dell'economia mista dell'ultimo dopoguerra, derivata soprattutto dal
Codice di Camaldoli. Del resto, ho preso atto del fallimento dell'esperienza
marxista-lenInista, toccata con mano nel mio ruolo di primo consulente occidentale
del Governo sovietico per la perestrojka, e delle diffuse ruberie ed abusi in larga
parte dell'economia pubblica, ma non posso esimermi dal constatare un
cambiamento "epocale" nel mondo globalizzato, che mi pone una serie di
domande sul pubblico e sul privato.
Per esempio, nell'economia reale in crisi, dovuta a quella finanziaria, ancora
potenzialmente esplosiva e per sollevare la quale negli anni scorsi i Governi dei
singoli Paesi hanno profuso miliardi di Euro a palate (in Germania 250, in Italia
solo 4, per non parlare dell'enormità negli USA). Attualmente la BCE continua
opportunamente a sostenere la liquidità delle banche, perché amplino la loro
attività di sostegno dell'economia, troppo negletta rispetto ai più comodi
investimenti in titoli del debito sovrano. Ma queste erogazioni sono sostenute "pro
quota" dai Paesi dell'Eurozona e, alla fine, dai cittadini che subiscono la pesante
falcidia tributaria sui loro redditi e talvolta sui patrimoni. E' giusto che le banche
beneficiarie di tali erogazioni siano governate unicamente dai rappresentanti del
loro capitale sociale, ovviamente con il controllo dell' Organo di Vigilanza, se una
cattiva loro gestione ricade in danno del risparmiatore, pur con alcune garanzie
dello Stato, che alla fine sono pagate dal cittadino contribuente? Ecco qui
affacciarsi il dubbio che possa essere utile un diverso rapporto tra privato e
pubblico tutto da reinventare. Che magari non sia in termini partecipativi al capitale
di rischio, ma in termini di nuova concezione della finalità dell'attività bancaria,
non soltanto orientata al profitto, ma allargata ad una serie di obiettivi che
tendano ad assecondare istanze proprie dell'economia generale del Paese, della
società, dei singoli cittadini. Non come generica aspettativa, ma concretamente
perseguita, realizzata e calcolata, con le modalità di cui da tempo si dispone.
E non posso qui non ricordare tra queste il mio datato "Metodo della scomposizione
dei Parametri" degli anni '50, cui "Treccani on line" ha dedicato una voce.
Questo delle banche è solo un esempio. Perché è l'assieme del sistema
finanziario che non va. Occorre un limite alla finanza aggressiva e irresponsabile
protesa alle massime "performance" nell'immediato, anche a costo di
compromettere le loro stesse prospettive a medio e lungo termine. Basta al
capitalismo selvaggio, che non valuta le conseguenze dei propri atti, al di la del
profitto, ignorando la responsabilità del proprio agire nel mondo globalizzato, che
rende tutti sensibili agli altrui comportamenti, a prescindere dalla distanza
geografica e quasi in tempo reale. Per effetto della tecnologia, soprattutto
informatica, che sta cambiando il mondo. Lo stesso dicasi per lo sfruttamento delle
risorse di intere aree geografiche, che non arreca vantaggio alle popolazioni locali
e crea le premesse all'immigrazione.
Ma non solo. Manca nell'assieme una crescita culturale che sappia mediare, a
vantaggio dell'uomo e del suo ambiente sociale e culturale, lo sviluppo scientifico
e tecnico. Infatti, molti aspetti dell'umanità e del suo ambiente sono sempre più
influenzati dalle nuove applicazioni tecnologiche. Nel micro e nel nano ci sono
sviluppi, un tempo impensabili, che vengono portati avanti senza adeguato
approfondimento delle conseguenze esercitate sull'umanità e sul suo ambiente.
Si amplia opportunamente il ricorso alle nanotecnologie, ma nessuno si preoccupa
del fatto che queste nano particelle, spesso introdotte nell'aria da applicazioni
improprie, come nell'asfalto di un'autostrada, quasi fosse comune vernice. Per lo
stesso attrito dei veicoli le nano particelle, fluttuanti nell'aria, vanno ad accumularsi
nella corteggia celebrare, non essendo fermate nei polmoni, come avviene per le
fibre di amianto, pur con le note conseguenze! E siamo solo all'inizio di applicazioni
di grande interesse, ma che vanno portate avanti con lungimiranza, accuratezza e,
soprattutto, con responsabilità.
La scienze sembra giunta al bordi del Mistero, e manteniamo un comportamento
collettivo da barbari, quasi irresponsabile: dall' "homo sapiens", trascurando i
predecesssori, siamo passati all' "agricola", poi al "faber" e al "ludens".
Auguriamoci di passare in futuro al "ridens" e non al "planges". Ma, forse, sarà
solo bionico!